
La inundación del 66
Il mio primo lavoro in assoluto fu come aiuto in una piccola officina dove si 'rigeneravano' sedie per dentisti.
Si trattava principlamente di smontarle, ripulirle, riverniciare i vari pezzi e poi rimontarle. Durò qualche mese, perché poi mi venne
offerta una nuova occupazione: l'archiviazione di opere d'arte su microfiche. La ditta aveva scelto un nome, ISTART, che (forse volutamente?)
assomigliava un po' troppo alla più nota ISTAT, ma l'idea di fondo del proprietario e fondatore, il Dott. Luciano Gagliardo,
era sostanzialmente buona, perché si offriva ai possessori di opere d'arte, o agli artisti stessi, la possibilità di archiviare foto
dei quadri, conservate su microfiche, assieme ad alcuni dati di identificazione. Veniva rilasciato una sorta di attestato di avvenuta archiviazione
e, sull'opera stessa, veniva apposta un'etichetta con i codici per identificarla.
Uno dei principali vantaggi di questa operazione era di garantirne la provenienza, ad esempio, in caso di furto.
Anche qui, lavorai per qualche mese, contattando privati, galleri d'arte e artisti per proporre il servizio. C'era un problema, però: gli
artisti erano quasi sempre in bolletta e magari non si potevano permettere il costo della registrazione, e i proprietari erano restii a far sapere
di essere in possesso di opere d'arte di un certo valore. Così, nonostante tutto il buon impegno, il progetto si arenò. Credo
che in seguito, l'archivio sia stato venduto o ceduto alla ditta Alinari.
In quel periodo feci conoscenza con l'architetto dei giardini Pietro Porcinai. Un personaggio sotto molti aspetti geniale, con importanti
clienti in tutto il mondo. Mi illustrò un suo progetto, relativo alla creazione di un campus universitario sul modello americano e che
avrebbe desiderato la mia collaborazione per realizzarlo. Porcinai era una persona molto determinata, ma anche molto irascibile. Nel suo
ufficio sulla collina sotto Fiesole erano in molti a temere le sue scenate d'ira.
Mi assunse ma, per dire la verità, non mi spiegò che cosa dovessi fare esattamente. Iniziai col tenere in ordine la sua corrispondenza,
creando un protocollo, nel quale registrare le lettere in arrivo e quelle in partenza, e a provvedere alla traduzione delle lettere in
inglese. Non mi trovai bene, glielo dissi, mi presi una sfuriata a 100 decibel, e, solo dopo 3 giorni, presi i miei cocci e venni via.
La successiva esperienza fu la vendita di prodotti per la serigrafia (vernici, telai ecc...), per conto di due amici, Giovanni Landi
e Pierfranco Maturo. Avevano messo su con un certo successo una tipografia serigrafica per la stampa di opere d'arte. Girai molto
per Firenze e provincia, ma commercialmente fu un discreto 'fiasco'. Poco dopo, un'altra opportunità: in una scuola di lingue per stranieri,
La 'Dante Alighieri' in via dei Bardi, dove iniziai a insegnare italiano. La scuola era all'avanguardia e aveva molti allievi, di tutte le
nazionalità e di tutte le età. Oltre ai corsi di lingua venivano offerti anche corsi di cucina, di pittura e altri che non ricordo.
Il sistema d'insegnamento si basava sull'"Immersione totale": solo italiano e non una parola nella lingua originaria dello studente.
Un sistema efficace: più che puntare sulle regole grammaticali, che venivano comunque insegnate, si insisteva sulla conversazione e i risultati
erano davvero apprezzabili: dopo un mese di lezioni, gli allievi erano in grado di conversare e anche di leggere le notizie su un giornale.
Dopo qualche mese mi venne offerto anche d'insegnare inglese agli italiani. Prinncipalmente erano dei corsi aziendali e il mio primo
incarico fu per la "Nuovo Pignone".
Dopo qualche mese ancora d'insegnamento vidi un annuncio sul giornale: ricerca di personale per il Consolato Britannico di Firenze.
Ammetto che mi presentai con qualche timore: non avevo alcuna esperienza in quel settore, ma ero perfettamente bilingue e questo giocò
sicuramente a mio vantaggio. Pochi giorni dopo il colloquio, mi comunicarono che ero stato assunto!
Ovviamente, un bel salto di qualità. Il mio ruolo era di assistente contabile. Al mio timido osservare che non sapevo nulla di
contabilità, il Console Miss Rowena Vining mi rispose sorridendo: "Bene, questo vuol dire che non sai neanche fare
imbrogli contabili!". Nei primi giorni venni affiancato alla persona che agiva come assistente culturale del Consolato; una signora
italiana, molto educata e cortese, che stava a pochi giorni dall'andare in pensione.
E in pensine andò anche molto di ciò che
si era molto impegnata nel 'passare le consegne', perché il mio ruolo era, in effetti, un altro.
Il mio diretto superiore Richard Herd-Smith, Pro-Console, era anche il contabile. Quindi presi a tampinarlo senza
sosta, per cercare di imparare tutto ciò che dovevo sapere. Ero diventato talmente assillante che una volta, uscendo dalla porta
dell'ufficio, vi voltò e disse a gran voce: "Vado un attimo in bagno!" - per farmi capire che forse dovevo smettere di seguirlo
ovunque.
Daniel con Mary Foreman (2012)
L'ambiente di lavoro era decisamente piacevole. Eravamo in tutto una dozzina di persone, divise tra Sezione Consolare e Sezione Commerciale, e
tutte mi accolsero con grande simpatia. Nella Sezione Consolare, dove ero io, c'era il Vice-Console Enzo Masi, Dick Herd-Smith
che ho gia menzionato, Elaine Izzard Scorcelletti, addetta a pasaporti e visti, due segretarie Jean Stweart e
Jane Ireland, quest'ultima segretaria del Console.
Nella Sezione Commerciale, la Vice-Console Giulia Dei, e gli addetti Affortunato Capecchi, Diana Wain
e, ultimo assunto come me, Peter Scott King. C'erano infine l'autista del Console, Antonio, un portiere tutto-fare,
Tersilio, e, solo al mattino, Bruna, che si occupava delle pulizie e di farci una "cup of tea" a mezza mattinata.
Last but not certainly least: Mary Foreman, un pilastro istituzionale, che si occupava della reception. Persona squisita,
molto tipicamente british, aveva una profonda conoscenza di tutti gli inglesi residenti a Firenze e dintorni. Era lei che smistava le chiamate
e i visitatori, a seconda delle necessità del caso.
Ogni tre anni il Foreign Office inviava i suoi ispettori, con l'obiettivo (non tanto nascosto) di trovare ragioni per diminuire il personale
o quanto meno le spese di gestione. La preoccupazione di una chiusura era alta (altri consolati in Italia e altrove erano già stati chiusi o
trasformati in Consolati Onorari). In effetti il Consolato di Firenze verrà poi chiuso nel 2012.
Come ho scritto poco più sopra, il mio incarico ufficiale era di "assistente contabile", ma dato che le operazioni contabili erano minime,
venni istruito ben presto anche nel destreggiarmi in altr mansioni. Imparai come rilasciare passaporti e visti, come occuparmi di chi veniva
al Consolato in cerca d'aiuto e come redigere i discorsi in italino per il Console. Altre mansioni, in seguito, furono le visite a cittadini
britannici in carcere, a occuparmi di rimpatriare chi per un motivo o per l'altro, era rimasto a corto di mezzi.
Dopo un anno dall'assunzione, mi sposai. Era il 7/7/77.
Fu un periodo veramente piacevole, in un ambiente di lavoro pacato e amichevole. Col passare del tempo, però, cominciai a preoccuparmi del futuro: le ultime ispezioni avevano ridotto gli impiegati e la Sezione Commerciale venne praticamente soppressa. Pensai che sarebbe stato particolarmente spiacevole se, magari a 40 anni passati, avessi dovuto trovare un altro lavoro. L'esperienza maturata era grande, ma in una realtà a se stante, un po' isolata dal 'mondo là fuori'. E così, alla nascita di mio figlio, a Novembre del 1982, presi la grande decisione; avrei dato le dimissioni, per gettarmi nel mondo dell'informatica.
Child-Z
General Processor Firenze
Fin da piccolo avevo coltivato un profondo interesse per l'elettronica, poi sfociato nei microprocessori e, soprattutto, nel software per farli
funzionare. Già dal 1978, assieme a un cugino, avevamo assemblato un personal computer e nel tempo libero mi ero esercitato nello sviluppo
del software.
La mia decisione non trovò grande consenso in famiglia, ma alla fine capirono le mie motivazioni. Fu una grande svolta nella mia vita e,
tutto sommato, non me ne pento.
Modello T
General Processor Firenze
Agli inizi mi avvalsi di un caro amico, Gianni Becattini, che aveva messo in piedi una fabbrica di computer nella periferia di Firenze, la General Processor. Loro producevano i macchiari e io, assieme ad altri, adattavamo e creavamo i programmi per farli funzionare. In seguito, la ditta attraversò un periodo di difficoltà e alla fine chiuse. Io proseguii con la libera professione, lavorando per altre societò e per privati.
Finché non approdai alla FB Computer di Chiesina Uzzanese, che distribuiva i computer della ditta americana Cromemco. Originariamente, questa ditta era composta da due soci: un commerciale e uno sviluppatore di software. Quest'ultimo era deceduto a seguito di un tentativo di rapina nell'adiacente Albergo, il "Don Carlos". E io ebbi il compito piuttosto arduo di subentrare al suo posto, con una vera e propria operazione archeologica, esaminando tutti i sorgenti dei programmi e cercando di mettere in ordine una situazione troncata tragicamente.
Cromemco C10
Non ero in una situazione particolarmente piacevole, ma ebbi un colpo di fortuna, favorito in gran parte da mio suocero. Egli era allora a capo
della AIE (Associazione Italiana Editori) e al Salone Internazionale del Libro, a Francoforte, sentì che la De Agostini stava cercando una
persona alla quale affidare la traduzione di una serie di fascicoli sugli home computer. Era necessario conscere bene l'italiano, l'inglese e
l'informatica. Venni convocato a Milano e poi a Novara e l'incarico mi venne affidato immediatamente, anche perché intendevano uscire coi
primi fascicoli de "Il Mio Computer" nel giro di poche settimane.
Conobbi il Dottor Jason Vella e il Dottor
Mario Nilo coi quali s'instaurarono subito ottimi rapporti.
La sfida non era da poco, perché tra la traduzione e l'uscita in edicola c'erano soltanto 15 giorni! Mio suocero mise a disposizione un ufficio
nella sede della Sandron, in via Farini, dove trascorrevo 12 ore al giorno a tradurre - e adattare - come un forsennato i testi inglesi sul mio
computer.
Appena terminata la traduzione di un articolo, passavo il dischetto in redazione, dove venivano accuratamente corrette le bozze. Finita questa
fase, la redazione passava via modem (un'innovazione per quei tempi!) tutto quanto alla tipografia, che stampava i "lucidi", da inviare
immediatamente a Novara. Fu una maratona durata quasi due anni: non mi potevo permettere neanche un raffreddore, tantomento un'influenza,
perché non potevo fermarmi: sarebbe saltata un'uscita in edicola!
Ci furono dei rari momenti di pausa, come quando mi chiamarono da Milano per dirmi che avrei dovuto partecipare a una riunione a Londra,
con gli estensori dei testi originali. Passammo due o tre notti all'Hotel Savoy, uno dei più lussuosi della capitale, per poi
tornare di corsa a Firenze. Tornammo con la prospettiva di tradurre una seconda serie di fascicoli: "INPUT".
Quando uscì il primo numero de "Il Mio Computer" ne feci incetta presso tutte le più vicine edicole. Che emozione vedere il mio nome all'interno
della copertina!
Poi arrivo la fine anche di questa esperienza. Al capo della redazione fiorentina e a me venne fatta l'offerta di un lavoro a Novara, ma
declinammo entrambi, soprattutto perché non avevamo intenzione di trasferirci.
Terminata questa esperienza, lavorai di nuovo con ditte di hardware (la RA Computer, nei pressi di Porta Romana) o come addetto
software (in una delle aziende dei fratelli Pippucci). Infine approdai alla General Comp, che cercava un reponsabile per il
nuovo settore dell'archiviazione su dischi ottici. Ci furono difficoltà iniziali perché il software che era stato scelto prima del mio arrivo,
prodotto da una ditta francese, aveva notevoli problemi. Così ne cerai un altro e la scelta cadde su due prodotti americano "MacroFiche" e
"MacroImage", uno per la'rchiviazione dei tabulati, l'altro per quella delle immagini. Ernao prodotti orientati verso grosse aziende, in
particolare banche. Questo lavoro mi offrì l'occasione di viaggiare più volte negli Stati Uniti sia per frequentare i corsi di aggiornamento
sul software, sia alla ricerca di nuovi prodotti, partecipando al COMDEX di Las Vegas. Esperienza fantastica, che non mi asettavo proprio, e
dalla quale hi inparato molto. Per questo devo ringraziare Mario Degasperi, responsabile fiorentino della General Comp.
Anche in questo caso, la mia buona conoscenza dell'inglese aaiutò non poco.
Ma anche questa esperienza si concluse dopo qualche anno. Difficoltà societarie ne causarono la chiusura.
Anche in questo caso, grazie a un amico di Roma, ebbi la fortuna di trovare un lavoro come responsabile software della filiale di Firenze
della SOGEA, una ditta romana con 11 filiali in Italia, che si occupava principalmente di data-entry nel settore bancario. C'era una stretta
collaborazione con la Cassa di Risparmio di Firenze. Durante questo impiego mi fu chiesto di partecipare a San Paolo, Brasile, a una mostra
sull'informatica. Dovevo presentare un software per l'archiviazione di immagini su dischi ottici, un settore che conoscevo. Nonostante
avessi creato due buoni contatti (uno con la più grande banca di San Paolo), la trattavia, da parte degli uffici romani, non andò oltre.
Nel frattempo, cominciarono le prime difficoltà dovute al sempre più diffuso uso delle carte di credito e bancomat: il flusso di assegni e
documenti similari calava a vista d'occhio e di conseguenza anche il lavoro di data-entry. Finché non fu decisa la chisura delle filiali e
quella della stessa casa madre.
Questa volta, per trovare un nuovo impiego, mi rivolsi a un'agenzia di lavoro interinale. Pochi giorni dopo mi venne offerto un colloquio
all'Istituto Universitario Europeo, con sede a San Domenico di Fiesole. L'impiegata dell'agenzie aveva qualche remora a propormelo,
perché non aveva nulla a che vedere con l'informatica: si trattava di un posto da Portiere in una delle ville che fanno parte del grande
complesso dell'IUE. Mi presentai e, con una mia notevole sorpresa, venni assunto seduta stante: dovevo presentarmi il mattino successivo
alla Villa, per il passaggio di consegne.
Posso affermare che si trattò del classico "cacio sui maccheroni". Stavo attraversando una crisi in famiglia, che sfociò in una separazione
da mia moglie e avere un impiego tranquillo e poco stressante, fu un toccasana. L'assunzione era del tipo interinale, quindi a breve durata
(sei mesi), tuttavia mi venne rinnovata per ulteriori sei mesi. Alla fine ci sarebbe stato un concorso per un periodo di assunzione di due
anni. Nonostante mi fossi fatto benvolere e fosse stata scritta una lettera di appoggio da parte dei professori che frequentavano la Villa,
il concorso fu vinto da un'altra persona.
Ci rimasi molto male, perché sapevo di aver svolto bene il mio incarico. Ma tant'è. Era evidentemente l'ora di cambiare ancora...
Il cambiamento ci fu, e fu la mia seconda grande svolta: l'apertura di un negozio di Calligrafia, al quale ho dedicato un'altra pagina.