
L'Alluvione del '66.
il 4 Novembre 1966 è una data che pochi fiorentini possono dimenticare; forse nessuno. Le pioggie intense dei giorni precedenti avevano già
reso il paesaggio plumbeo e quella che doveva essere una giornata di festa, diventò un giorno da incubo.
Noi abitavamo in collina e fummo svegaliati da Argia, la mia tata, che andava correndo per casa al grido di "Ponte Vecchio è crollato!" e "C'è
l'acqua dell'Arno in tutta la città!". Lì per lì, credemmo in uno scherzo. I miei genitori e mia nonna, ospite da noi per quei giorni di festa,
ci precipitammo alla radio che, purtroppo confermò che l'Arno si aggirava per Firenze. Ma per fortuna Ponte Vecchio era ancora al proprio posto.
In quei primi minuti, come tanti forse, pensammo a un'esagerazione. I miei decisero di andare al negozio, in piazza Santa Croce, per vedere di
spostare negli scaffali più alti la merce 'a rischio'. L'unico nostro riferimento era l'acqua alta di Venezia.
Con la 500 ci avventurammo per i viali di circonvallazione, ma arrivati a piazzale Donatello, la Polizia rimandava indietro tutti. Allora pensammo
di tentare scendendo giù per via Cavour, ma prima di piazza San Marco si ripetè la stessa scena. Ci fu caldamente consigliato di tornare a casa
perché Santa Croce era irraggiungibile. E così facemmo, con una crescente angoscia.
Il Sabato mattina, ritentammo passando dai viali e ci riuscì arrivare all'imbocco con via San Giuseppe. Lasciata l'auto proseguimmo a piedi e,
giunti all'angolo con piazza Santa Croce, sulla scalinata della chiesa, uno spettacolo che non ci saremmo mai aspettati: la piazza era un mare di
fango sporco, nere macchie di nafta e rami qua e là si mescolavano alle auto, delle quali si intravedevano a malapena i finestrini e il tetto.
I lavori, per portar via il fango dalla sede stradale erano già a buon punto e, con una buona dose di determinazione, ci avvicinammo al negozio.
Da lontano, le serrande sembravano intatte, a differenza di quelle di altri negozi che erano sfondate e ci fu per un momento l'assurda speranza che avessero tenuto alla carica dell'Arno. Ovviamente, appena riusciti a tirare su il bandone dell'ingresso, ci rendemmo conto della pia illusione: la porta d'ingresso era bloccata da uno dei mobili da esposizione. Pigiando e tirando e facendo leva con quel che avevamo, riuscimmo alla fine a entrare. Evidentemente, quel misto di acqua, liquami, nafta e chissà cos'altro, era filtrato e, formando un potente vortice, aveva fatto un frullato di ogni cosa. Uno strato di fanghiglia spesso una decina di centrimetri copriva tutto. Uno spettacolo spettrale. Valigie, guanti, portafogli, borse... sparsi ovunque come sagome tutte dello stesso colore grigio-marrone. Fummo presi da un tale sconforto, che non ci restò che arretrare e ripercorrere via San Giuseppe per tornare a casa, senza nemmeno tentare di addentrarci nelle stanze più all'interno.
Interno del negozio (1)
alcuni giorni dopo
Interno del negozio (2)
alcuni giorni dopo
Dal giorno successivo, e per tutto un lungo mese, tornammo ogni giorno da mattina a sera per svuotare i locali. Oggetti ormai inutili, rovinati
irrimediabilmente, vennero ammonticchiati fuori dalla porta, da dove venivano rimossi dall'esercito. Come 'base', per riposarci qualche minuto
e per mangiare un panino, ci servimmo dell'appaartamento di mia nonna, al 1° piano. L'Arno era salito anche su per le scale, ma fermandosi a un
gradino dall'entrare in casa. Che educato.
Il gas di rete era stato ovviamente bloccato, mentre la rete idrica, in centro, venne riattivata a tempo di record. Su in collina e per molti
giorni ancora, passavano autocisterne dell'esercito.
Nel laboratorio, c'era il reparto doratura, con decine e decine di preziosi strumenti (rotelle, punzoni, forme ecc..) e un'infinità di
minuscole lettere per la doratura di iniziali o di titoli sui libri rilegati in cuoio. Mi assunsi il compito di recuperare quelle 'lettere':
a mani nude, rovistavo il pavimento ancora coperto di fango acquoso. Ne recuperai una gran quantità - non certo tutte.
Qualche generoso amico venne in aiuto. In particolare ricordo Leonardo Martelli, che con le gambe fasciate in sacchetti di plastica, lavorò
con noi per giorni, nonostante soffrisse di un forte mal di testa.
Il danno economico fu enorme: il magazzino era stato da poco riempito in vista delle prossime feste natalizie. E fu anche un danno doppio,
perché i miei genitori avevano da pochi mesi deciso di ritirarsi dal lavoro e avevano venduto l'attività, con l'accordo di portarla al 31
Dicembre per poi passare le chiavi il 1° di Gennaio.
La società acuirente confermò la transazione, ma ovviamente l'intero valore del magazzino fu decurtato. In sostanza, fu venduto il cosiddetto
'avviamento'. Lo Stato intervenne con un 'aiuto' di 500.000 Lire, che nel nostro caso bastò appena a pagare i necessari lavori per ridare una
parvenza di normalità a quei locali devastati.